ricevimenti palazzo ducale

Il Ricevimento Natalizio a Palazzo Ducale con gli ambasciatori del Marocco nel 1782

Capurro Ricevimenti Ricevimento Reale a Villa Cattaneo nel 1502 image 4

Feste, cerimoniali e ricevimenti nella Genova del passato

Sin dal 1390 era tradizione, per Natale, che a Palazzo Ducale si tenessero dei solenni ricevimenti in onore del Doge. Ad augurare le buone feste al detentore della massima carica della Repubblica si recavano gli Anziani nelle loro pittoresche toghe, gli ufficiali delle varie magistrature, i ministri, l’Arcivescovo, i superiori degli ordini religiosi, i maggiorenti, gli ambasciatori delle nazioni straniere residenti a Genova, i consoli delle Arti cittadine. Costoro avevano stabilito che le botteghe rimanessero chiuse non solo il giorno di Natale, ma anche i due giorni successivi. E chi non rispettava l’ordinanza, era sottoposto a una multa salata.

Nel ricevimento di Natale a Palazzo Ducale venivano servite numerose confezioni di dolci e canditi oltre a una grande quantità di aranci e limoni che, sin dal Quattrocento, erano inviati al Doge dalla Comunità di San Remo. Da questi medesimi coltivatori giungevano pure diverse bottiglie di vin moscatello, sempre molto gradito a tutti gli invitati.

Nel Natale del 1782 probabilmente si astennero dal delibare, per motivi religiosi, quest’ultima liquorosa prelibatezza Sidi (dall’arabo magrebino “i lor Signori”) Amet Sorag e Lissimi Mistiri, gli ambasciatori inviati a Genova dal Sultano del Marocco Muhammad III ibd Abd Allah e presenti al ricevimento a Palazzo Ducale. Il motivo della visita era il tentativo di costituire un’alleanza tra il governo di quel Paese e la Repubblica genovese, per cercare di mettere un freno alle incursioni dei Corsari Barbareschi che infestavano le coste liguri e assalivano i navigli. Per il mantenimento nella Superba della delegazione marocchina e le riparazioni dei danni subiti dalla fregata durante il viaggio, il Senato aveva stabilito la somma di quarantamila lire genovesi. Le oltre trenta persone al seguito dei due ambasciatori erano state alloggiate nel palazzo dei marchesi De Mari che aveva l’ingresso principale nell’attuale piazza Luccoli. L’edificio – più volte oggetto di accorpamenti e rimaneggiamenti successivi – dell’antica magnificenza possiede ancora uno scalone cinquecentesco, mentre un secondo ingresso corrispondeva all’attuale civico 28 di via Luccoli. Al tappezziere Filippo Pittaluga fu commissionato l’arredamento degli appartamenti; il tutto a spese della Giunta di Marina che a tal scopo, sborsava la ragguardevole somma di millecinquecento lire. Ma la cifra fu ampiamente giustificata dalla sontuosità degli arredi e dalla grandiosità degli addobbi. Una sala venne decorata in damasco cremisi, un’altra in damasco verde, un’altra ancora in velluto a fiorami e rilievi verdi su fondo bianco. Ciascun ambiente era arricchito da tende, specchi, seggioloni dorati, divani, candelabri nonché mobili di pregevolissima fattura. Non solo. Il Senato, dietro «insinuazione dei Serenissimi Collegi», metteva a disposizione della delegazione le magnifiche carrozze dei marchesi Cambiaso per il diporto nei dintorni, mentre il principe D’Oria Pamphili, per tutta la durata del soggiorno genovese della legazione marocchina, offriva agli ospiti il proprio loggione al Teatro Sant’Agostino. Da lì, a partire dal 4 gennaio dell’anno seguente, i diplomatici avrebbero potuto assistere ad Artenice, un’opera lirica di argomento storico-mitologico ambientato a Trebisonda, di musicista e autore del libretto a noi sconosciuti.

Ma l’attenzione della Repubblica nel rendere il più gradevole possibile la permanenza a Genova agli ambasciatori del Marocco, era dovuta anche al fatto che si stavano intensificando i rapporti commerciali con quel sultanato, e molti mercanti di tale Paese trattavano affari con la Superba. La cosa non sfuggì all’anonimo autore di un biglietto di calice indirizzato ai Senatori.

«Serenissimi Signori, sarebbe da riflettersi se essendo in Genova l’Ambasciatore Marocchino col seguito di sessanta persone di sua nazione, potesse convenire nel prossimo carnevale la proibizione di vestirsi da Turco (una delle maschere più popolari nella tradizione genovese, n.d.a.). Ognuno sa che quella gente con facilità si incontra (s’inalbera, n.d.a.). Il popolo nostro usa facilmente dire delle insolenze. Potrebbe quindi nascere qualche impegno (diverbio, n.d.a). Poco mancò non ha molto che non bruciassero la casa d’un console francese in Marocco, solo perché la di lui moglie chiamava un suo cane Maometto».

Onde evitare spiacevoli disguidi il 15 gennaio 1783 venne emanata l’ordinanza di «proibire le Maschere da Turco e di chiamare i consoli de’ Repezzini e tutti quelli che affittano abito da maschere perché si astengano da imprestare abito da Turco». I contravventori sarebbero stati puniti con il carcere.

Aldo Padovano

storico